Che mia fibra or s’è fatta e sangue e mente. 305Nè creder già che doloroso io viva,
Poi che di tutta illusíon fallace
Dopo lungo pugnar strappai la benda;
Nè con rigido dente e con veleno
L’empio rimorso offenderà il mio petto, 310Già che dolce mi fia mirar l’abisso,
Da cui con tempestiva ala mi tolsi;
E folle no, ma saggia cosa io penso
Sviar la mente da perversi oggetti,
E disfar opra che il pensier condanna. 315Nè leggera, nè fiacca indole al certo,
Ma cor gagliardo ha chi sè stesso emenda.
Chi dura nell’error mente ha proterva;
Vile o stolto è colui che muta in peggio.
Chè, se per molta età, fra inesorata 320Stirpe di mali e immedicati affanni
Trascinare io dovrò l’ultima vita,
O Natura benigna, odi un mio prego:
A te non grazia di potenti io chiedo,
Non lauta sorte, o popolar favore, 325Nè di canto immortal vena perenne:
Con le palme supine altro t’imploro,
E tu, diva, m’ascolta, ove alcun senso
Di noi ti muova, ed al tuo vario trono
D’una prece mortale il suono arrivi. 330Deh! concedimi, o dea, che sempre vivo,
Come raggio costante a pellegrino,
Dentro all’anima mia splenda il pensiere,
Virtù sola e ricchezza, onde si scerne
Veracemente da ferin costume 335Nostra vita mortal; dammi che l’ira,
Breve furor che gl’intelletti acceca,
Non mi travolga mai, sì che sdegnoso
Fuor del dritto sentier corra e trasmodi;