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ad andrea maffei

Terger altri fu visto a collo torto
235Nella sacra piletta il dito infame
Che il caldo ancor sentía lezzo di Cipri;
Quando un altro, a ingoiar Cristo in pasticca,
Spalancò le malediche mascelle,
Sì prodi or ora a vomitar blasfemi.
240Qual mai stirpe di prodi Italia aspetta
Dall’ipocrito esempio? Una tu vedi
D’inverniciati amasj ibrida greggia,
Che nulla sa nè può, tranne il sogghigno,
Virtù sola d’imbelli. Inutil peso
245Di soffici divani, entro l’astuccio
Dell’azzimato vestitin di gala
Custodisce l’esosa anima; ingombra
Di sua gran vanità piazze e teatri,
Poltre, morde, sbadiglia; e poi che nulla
250Vede fuor di sè stessa e tutto ignora,
A illuder gli altri a sè, tutto disprezza.
Forse ai suoi faticosi ozj sorride
Con le rose sul crin, con l’ale al tergo,
Fra salute ed amor, l’aureo piacere?
255Fugge abusato ei pur da le dispette
Sale e dal cor di questa frolla, imberbe
Progenie di canuti, a cui la noia,
Quando ancora è mattin, canta la ninna.
Così da sensi e da precetti obliqui
260Per cui fuor della vita abita il vero.
Per cui donna non già viva e terrena,
Ma vuota larva imbellettata è l’arte,
Così nei giovanili animi cresce
Stolida indifferenza, orrida tabe
265Che s’insinua nel sangue, e vi consuma
D’ogni bello e gagliardo impeto il germe;
Così, d’un falso ben fatto guanciale,
Dell’indagin severa uopo non senti;



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