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canto ottavo

Colei non è, che alla sorgente e fiera
Lupa della Tarpea ruppe li artigli?
Colei che fulminò la tua bandiera,
310E fe’ i campi del tuo sangue vermigli?
Colei non è, che la tua patria inulta
Co’l piè calpesta, e la tua spada insulta?

    No’l chiede ei già: d’un gran popolo oppresso
Balenan l’armi e il grido al ciel rimbomba,
315E dal guardato suo scoglio inaccesso
Tremendo ei rompe, e sui nemici piomba;
E vincendo del par gli altri e sè stesso,
Mostra al feroce usurpator la tomba;
Dal trono dell’error sbalza i potenti;
320Dà spada al dritto e libertà alle genti! —

    Così dicea l’eroe, quando una strana
Vista mírò. Tratto al macel venía
Uno zoppo asinel, che in voce umana
Tapinavasi invan lungo la via.
325Folta era intorno a lui la disumana
Turba, che il morso del digiun sentía;
E qual dicea ch’alto miracol fosse,
Chi d’insulti il pungea, chi di percosse.

    Sordo da tanto urlar, da’ picchi infranto,
330E più dal senso del supplizio atroce,
Il poverel movea simile a un santo,
Che tra fieri Giudei porti la croce.
Con l’orecchie dimesse, in suon di pianto
A intenerir la turba alza la voce,
335E ragli emette or cupi ora argentini,
Ch’àn l’armonia dei versi alessandrini.

    L’eroe gli si fe’ presso, e della doppia
Sua bizzarra natura interrogollo;



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