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canto sesto

Su l’aureo trono in maestà si assise.
    Gemea l’eroe fra tanto, e su la bocca
435De la bella sua morta iva mescendo
Dal profondo del cor lagrime e baci.
Mestamente fendea l’onde, e nel raggio
Dei purpurei crepuscoli diffuso
Vagolava il suo spirto oltre la vita.
440Saltò dall’etra in quell’istante il forte
Messaggero di Dio, tutto nell’armi
Corruscanti precluso, e parea stella
Portatrice di stragi. A sommo il flutto
Contro al gagliardo nuotator piantosse,
445Precidendogli il lido, e con superbe
Voci il tentò:
                   — Riedi, insensato, ai neri
Baratri tuoi; quest’aure e questa luce
Non son per te. Del tuo signor dispregi
Il divieto così? Ben del suo sdegno
450T’è noto il peso e del mio brando. Lascia
Quest’aure adunque, se non vuoi di nuovo
Provar l’ira del Padre e il braccio mio! —
Guardollo in fronte, e con sorriso amaro
Gli rispose l’eroe:
                         — Superbo e vòto
455È il tuo parlar, qual si conviene a servo
D’assoluto signor. Gonfio dell’aura
D’un fatuo nume, opre millanti e cose,
Che son, più che vittorie, onte e dispregi.
Ma inver semplici or siete, ove co ’l suono
460D’una futil minaccia il pensier mio
Svíar provate dall’ardita impresa,
Per cui tutta cadrà da’ vostri petti
La superba jattanza. Ebbri del fumo
Dei vaporati sagrificj, il guardo
465Voi non drizzate oltre l’istante, e lunghi



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