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4 condizione della donna in roma


artista, di spirito sveglio come il greco, doveva sentire tutto il vuoto di questo sistema di educazione e di trattamento del sesso gentile. E perciò accanto alla donna ignorante del gineceo vediamo sorgere la donna libera, la elegante etèra che aveva saputo assimilarsi ciò che di più squisito e di più raffinato aveva la cultura ellenica; la briosa etèra che ragionava di poesia e d’arte, che ispirava gl’inni di Pindaro, le conversazioni di Socrate, la politica di Pericle. Quel popolo libero non aveva concepito la libertà delle donne altro che nell’amor libero e fuori del matrimonio. Anzi domandate alla civiltà ellenica che cosa sia la donna, e vi risponderà con le sue maraviglie dell’arte plastica; ma scendete addentro e interrogatene l’anima, e ne avrete le più bizzarre e contradittorie risposte: nelle rapsodie omeriche, nel teatro tragico, nel dramma satirico, nelle opere dei filosofi.

Nella civiltà romana la donna aspira all’eguaglianza e alla potenza. La legislazione la vuol serva? Essa vince la legislazione, perchè il costume la vuol libera. Il costume faceva sentire ai Romani che dove la donna non sia partecipe della cultura e della libertà del marito, ivi la famiglia non può esser tenuta in onoranza. I Romani non vollero relegare le loro donne nel gineceo, o esse, ammaestrate dall’esempio di Grecia, non vollero rimanervi. Le donne avevano alti ufficii religiosi; nei teatri, nei conviti, nelle feste, era loro serbato un posto d’onore. Esse erano le regine dell’atrium, il salotto della famiglia, il drawing room; ivi le onoravano gli amici e i clienti del marito. Le più nobili matrone si occupavano di filosofia, di storia e di politica; coltivavano la letteratura patria e la greca che era allora