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ciato a tutta forza in pieno viso, a quella che cantava sulla scena — una dichiarazione mezza brusca, mezza ironica per quelle povere pupe dipinte. — La donna era caduta di un colpo, poi lo aveva adorato per tre settimane.

— Anche quando sono partito mi ha regalato questo orologio d’oro — concluse Yann, e per farlo vedere, lo gettò sulla tavola come un gingillo disprezzabile. Aveva raccontato la breve storia rudemente, ma le parole di Yann addoloravano e sorprendevano Silvestro. Egli era un fanciullo vergine, allevato nel rispetto dei sacramenti da una nonna vedova di un pescatore di Ploubazlanec. Piccolo, andava ogni giorno a recitare il rosario in ginocchio sulla tomba di sua madre. Da questo cimitero, situato sulla scogliera, si vedevano da lontano le acque grige della Manica, dove suo padre era scomparso in un naufragio. Per la povertà dei genitori egli aveva dovuto, molto presto, navigare alla pesca. Ogni sera recitava a buon’ora le preghiere ed i suoi occhi avevano conservato un candore religioso. Era bello anche lui, dopo Yann, il più forte di bordo. La sua voce dolce e le sue intonazioni di fanciullo contrastavano un poco con l’alta figura e la barba nera. Era cresciuto troppo presto, quasi si sentiva imbarazzato d’esser diventato così grande tutto d’un tratto. Contava di sposarsi ben presto con la sorella di Yann ma, sino a quel giorno, non aveva corteggiato alcuna donna. Era poco più di mezzanotte, finita la festa celebrata in onore dell’Assunzione della Vergine, loro patrona, tre di essi salirono per dormire nelle piccole nicchie nere che somigliavano a sepolcri e gli altri tre salirono sul ponte a ripigliare il lavoro interrotto della pesca; erano Yann, Silvestro, ed uno del loro paese chiamato Guillaum. Al di fuori faceva giorno, eternamente giorno.

Ma era una luce pallidissima, si posava sulle cose con dei riflessi di sole morto. Tutto era calmo e non pioveva più; in alto, delle nubi informi ed incolori sembrava rendessero ancora più scialbo il pallore della luce. I tre uomini