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molto; si teneva un poco inclinata è vero, ma era in pieno mattino e in un bel tempo calmo; bisognava sapere del pericolo per comprendere la sua condizione molto grave.
Il comandante ispirava interesse pietoso; la colpa era un poco sua, perchè non si era occupato abbastanza del punto in cui erano; egli levava le mani in aria dicendo «E’ per lieve colpa mia!».
Presso di loro, in un chiarore, si disegnò un promontorio, che essi non riconoscevano bene. Si annebbiò quasi subito; e non lo si distinse più.
In principio nessuna vela in vista, nessun fumo; e per il momento erano più contenti di ciò: avevano timore di quei salvatori inglesi che vengono a tirarvi d’imbarazzo a viva forza, e dai quali bisogna difendersi come dai pirati.
Si davano tutti da lare, esasperatissimi. Turco, il loro cane, che non temeva i movimenti del mare, era molto emozionato di quell’incidente; quei rumori al disopra, quelle scosse dure, e poi quell’immobilità, anche a lui non apparivano naturali, e si nascondeva negli angoli, con la coda bassa.
Per dieci ore continue manovrarono invano: il povero battello arrivato la mattina così pulito ed azzimato prendeva già un brutto aspetto, inondato, sporco, in pieno disordine, sempre là, inchiodato come un battello morto.
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Sopraggiunse la notte, soffiava forte il vento; le cose si mettevano male per loro, quando, d’un colpo, verso le sei, essi si sentirono liberi da ogni ostacolo.
Allora si videro tutti gli uomini correre avanti e indietro e gridare: «Noi navighiamo!».
Ed effettivamente navigavano.