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Capitolo Undecimo.


Era l’ultimo giorno di febbraio, la vigilia della partenza dei pescatori per l’Islanda.

Gaud si teneva in piedi contro la porta della sua carriera, immobile e placidissima. Yann era giù a parlare con suo padre. L’avea visto venire e sentiva vagamente risuonare la voce di lui.

Non si erano incontrati tutto l’inverno; come se una fatalità li avesse sempre divisi.

Dopo la sua visita a Pors-Even aveva fondato qualche speranza sul pellegrinaggio degli Islandesi, dove si ha l’occasione di vedersi e di parlarsi la sera a gruppi sulla piazza. Ma fin dal mattino di quella festa, lungo le strade, ornate di bianco e di ghirlande verdi, una cattiva pioggia era caduta a torrenti; a Paimpol non si era mai visto il cielo così nero.

— «Quelli di Ploubazlanec non verranno» avevano detto tristamente le fanciulle, pensando con rammarico ai loro innamorati. Ed effettivamente non erano venuti. Niente processione, niente passeggiata, ed ella, col cuore più stretto del solito era rimasta dietro i vetri tutta la sera, sentendo scorrere l’acqua dai tetti, e sentendo salire dal fondo delle osterie i canti rumorosi dei pescatori.

Da qualche giorno aveva previsto la visita di Yann, sapendo bene che, per l’affare della vendita della barca, non ancora regolato, papà Gaos, che si annoiava di venire a Paimpol, avrebbe mandato suo figlio. Allora si era detto che sarebbe andata a lui — cosa che le ragazze non fanno mai — e gli avrebbe parlato per averne la confessione franca del cuore. L’avrebbe rimproverato di averla turbata e poi abbandonata, col solito modo dei giovanotti che non hanno onore. Ed allora, chi sa, se i soli ostacoli alla sua felicità erano quelli indicati da Silvestro, cioè, testardaggine, selvatichezza, attaccamento al mestiere del