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dubitarne, posso dirvi che fra pochi giorni sarò in grado di farvi concepire di me una migliore opinione. Tenetevelo a mente, signorina Heberti!

Il re aveva dato la stura a questo lungo discorso con tanta dignità, forza e chiarezza che Lilì quasi atterrita abbassò gli occhi. Forse sentiva di essersi spinta tropp’oltre.

Girolamo diè al suo bibliotecario un’occhiata d’intelligenza.

Al povero Pigault venne in mente la lettera a cui il re faceva allusione. Da un giorno all’altro poteva arrivare la risposta, e il misero bibliotecario non si nascondeva che questa aspettativa esercitava sul suo spirito una angosciosa oppressione. In questo punto si senti nell’anticamera un vivo scambio di parole.

Tutti ascoltarono sorpresi.

— Io ho gli ordini più precisi — diceva uno dei cacciatori della guardia.

— Ed io ne ho dei più precisi ancora — rispondeva una voce risoluta. — Alle corte! In nome di Sua Maestà l’Imperatore dei francesi, lasciatemi passare!

Girolamo impallidì. Pigault-Lebrun diè di piglio al bicchiere per nascondere il suo turbamento.

— Lasciate almeno che io avverta prima Sua Maestà di Vestfalia — balbettava il cacciatore della guardia. — Chi devo annunziare?

— Il governatore di Danzica! — fu la risposta.

Dopo mezzo minuto si apriva la porta del Salone turchino ed il governatore, accompagnato da un ufficiale della guardia, entrava nel sancta sanctorum.

Non si sentiva uno zitto.

L’inviato dell’Imperatore strisciò una riverenza con garbo cavalleresco, e poi indirizzandosi al re:

— Sire, — disse — io devo adempiere a una commissione in sommo grado spiacevole.