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quell’epistola! Il Cesare, la cui collera sterminatrice aveva precipitato nell’abisso il libraio di Norimberga, poteva bene stritolare anche il confidente di Girolamo! Nella migliore delle ipotesi, tale scoperta recava con sè una più o meno sensibile privazione della libertà; e veramente, dopo aver passato in dulci jubilo tanto tempo nel pomposo castello di Wilhelmaböhe, e come ora si dice di Napoleonshöhe, riusciva un po’ duro l’avere a cambiare quel paradiso con una prigione!

Pigault-Lebrun si rattristò non poco quando questo pensiero gli attraversò la mente. Chiuse adagino la cartella, intascò accuratamente il manoscritto, e poi scese nel parco a respirare l’aria fresca del mattino.

Aveva forse passeggiato un’ora su e giù fra gli olezzanti cespugli, quando si sovvenne che aveva dimenticato di prendere con sè la lettera dell’Imperatore. Subito si diresse verso la sua camera. Nell’andito si scontrò con l’elemosiniere, il principe di Paderborn.

— Ah, così mattiniero, Eccellenza? — disse con un tono di voce che tradiva la sua sorpresa.

— Sicuro, signor bibliotecario, — rispose il principe sorridendo.

— Mi è parso un peccato il perdere un così bel mattino. Del resto, sentite? Battono le nove! Non è poi tanto per tempo! Avete fatto senza dubbio una passeggiata?

Pigault-Lebrun rispose alcune parole insignificanti, ed entrò nella sua camera. Ivi giunto, cacciò nel suo portafoglio la lettera di Parigi, accese un sigaro, e si sdraiò lentamente sul sofà, coll’intenzione di passare il tempo, fino al destarsi del suo signore, nella prediletta occupazione della corte di Vestfalia: Il dolce far nulla.

Ma l’elemosiniere non gli voleva uscir dalla mente. Che diavolo andava cercando costui per l’andito? Il suo appartamento era situato dalla parte opposta del castello, e....

— Io non posso sopportare questa gente intrigante — mormorava tra è. — A conti fatti, qui tutto si riduce a