Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 170 — |
no.... leggi tu forte. Tu sai che io non mi ci ritrovo con quelle zampe di mosca...
Pigault-Lebrun spiegò lo scritto, ed incominciò a leggere:
«A mio fratello Girolamo Napoleone
«Re di Vestfalia.»
— Come? — domandò Girolamo. — Egli scrive «mio fratello?» Vedrai che anche cotesta è una lettera d’accusa! Avanti.
Il bibliotecario seguitò:
«Tutto quello che io sento dire di voi mi fornisce una prova di più che i miei consigli, i miei ordini, i miei comandi non fanno su di voi alcun effetto. Gli affari vi sono di peso. L’obbligo della rappresentanza vi è di noia. Fratello mio, pensate che il mestiere di re vuol essere imparato! Un sovrano senza la debita rappresentanza è un mostro. Voi amate i diletti della tavola. Voi amate le femmine. Or bene, queste due cose saranno la «vostre rovina. Fate come fo io: non più di mezz’ora a tavola, e lasciate le donne da parte.»
— Che impudenza! balbettò a Girolamo fuori di sè.— Che importa a lui se io mi godo o no la vita? Questo non s’è veduto mai dacché il mondo è mondo! Vorrei sapere a che pro sono io re, se non a divertirmi! Poni mente, Pigault, qui si accenna di nuovo ad una delle mie.... amiche!
— Ah, non lo credo!... Noi procediamo con troppe cautele!.... Forse che la vaga Carolina non passa dappertutto per mia moglie? E la contessa tedesca che abbiam fatta venire da Monaco, non è creduta universalmente moglie del medico di corte?
— Ma la piccola Heberti, la ballerina?
— Bah! e non l’abbiamo allogata per cameriera presso la moglie del ministro di giustizia? Non temete, sire. Nessuno può nutrire fondati sospetti.