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negli scacchi: un fantoccio al quale può dar scacco matto la prima potenza a cui ne salti il capriccio.
— Come sarebbe a dire, Maestà? — balbettò Pigault-Lebrun.
Girolamo fece spallucce.
— Pigault, — disse — te ne prego, non ti dar l’aria di più stupido che non sei. Tu temi di offendere la mia vanità! Questo te lo potrei menar buono, se noi ci trovassimo nel cerchio dei nostri cortigiani. Qui però la maschera sarebbe un di più. Io ti domando la tua opinione, la tua opinione, senza alcun ritegno, capisci?
— Sì, Maestà, comandate.
— Tu sai — seguitò il re — che io, malgrado tutta la sovranità, non sono che il miserabile schiavo di mio fratello....
— Oh, sire!...
— Ma, te lo confesso apertamente, io incomincio quasi quasi ad averne piene le tasche di questa buffonata. È troppo oggimai che.... questo tiranno si permetta d’ingerirsi nelle mie relazioni private.... Io sono fermamente deciso di dare alla prima occasione un esempio che faccia rumore.... Vuoi tu prestarmi il tuo appoggio?
— lo sono sempre agli ordini di Vostra Maestà — fu la risposta diplomatica del Pigault.
— Che diresti, pensa, se io, senza mettervi nè sale nè pepe, mandassi al diavolo il principe di Paderborn? Quel gaglioffo mi annoia infinitamente colle sue eterne chiacchiere di costituzioni ecclesiastiche e di clero; ed io ti so dire, che questa cosa avrebbe un forte sapore d’indipendenza.
— Ma, e le conseguenze?
Il re curvò la testa con aria di dispetto.
— Bah! — rispose. — L’Imperatore vi si acconcerà vedendo che io sono fermo. Che potrà egli fare?
— Sire, — disse il Pigault con una tal quale circospezione — io credo che vi facciate delle illusioni.... Voi sa-