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prendeva un’attitudine ardita, dicendo ai giovanotti delle cose troppo franche che sorprendevano, e il suo bellissimo sguardo chiaro non si abbassava mai davanti a loro; ma era così onesta e pudica che tutti comprendevano di trovarsi al cospetto di una fanciulla sana di mente e fresca di cuore.

In queste grandi città, il suo modo di vestire si era modificato molto più che essa stessa. Quantunque avesse conservato la cuffia che le bretoni abbandonano difficilmente, aveva imparato a vestirsi in altro modo, smagrendosi alquanto nei lunghi busti di signorina. Tutti gli anni, con suo padre, veniva in Bretagna, rivivendo nei ricordi d’infanzia e riprendendo il nome di Gaud (che in bretone vuol dire Margherita), felice di ritrovarsi in questa Islanda, che le appariva come un abisso lontano — e dove era, ora, colui che ella amava.

Un bel giorno era stata costretta a restare per sempre nel paese di questi pescatori, per un capriccio di suo padre, che aveva voluto finire là la sua esistenza ed abitare come un borghese su questa piazza di Paimpol.

La buona vecchia nonna andò via, ringraziando, dopo che la lettera fu riletta e la busta chiusa. Abitava molto lontano, all’entrata del paese di Ploubazlanec, in un borgo delle coste, ancora nella medesima casupola, dove era nata, dove aveva avuti i figli ed i nipoti. Traversando il paese rispondeva a molta gente che le augurava la buona notte; ella era una delle antiche del paese, avanzo di una famiglia assai stimata. A furia di ordine e di cure, era riuscita a sembrare ben vestita con dei poveri vestiti rammendati, molto consumati. Sempre quel piccolo scialle scuro delle paimpolesi, che era la sua divisa abituale e sul quale cadevano da una sessantina di anni i volants di mussola della cuffia; il suo scialle, di matrimonio, una volta bleu, ritinto per le nozze di suo figlio Pietro, e, da quel tempo aggiustato per le domeniche, era ancora presentabile. Ella — non come le altre vecchie — aveva