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vento e la pioggia imperversavano più che mai e, malgrado le precauzioni prese, qualcuno s’inquietava del suo battello o della sua barca ormeggiata nel porto e parlava di alzarsi per andare a vedere.
Intanto un altro rumore, più allegro a sentirsi, arrivava dal basso, dove i ragazzi mangiavano; erano i gridi di gioia, gli scoppi di risa dei piccoli cugini che cominciavano a sentirsi stuzzicati dal sidro.
Avevano servito della carne bollita, della carne arrostita, dei polli, molte specie di pesce, delle frittate e dei galletti.
Si era parlato di pesca, di contrabbando, si era discusso dei doganieri che sono, come si sa, i nemici degli uomini di mare.
Cadde il discorso su le case da thè cinesi.
— Oh! sì lo so; aveva interrotto Yann che, anche lui, dopo una lunga traversata, le aveva conosciute, quelle cinesi.
— Dunque quando dovemmo pagare, cerca, cerca, nè io, nè tu, nè lui avevamo un soldo. Allora facemmo le nostre scuse promettendo di ritornare. (E qui egli imitava la faccia abbronzita della cinese sorpresa). Ma la vecchia, niente fiduciosa, cominciò a miagolare, a fare il diavolo ed era per graffiarci con le sue zampe gialle.
Ed ecco i due cinesini due.... infine i due padroni della casa, tu mi capisci — che chiudono la porta a chiave per non farci uscire. Allora noi tre li afferrammo per i codini per metterli con la testa al muro e suonarcene quattro — Ma crac! ne escono quasi una dozzina da tutti i buchi, che si alzarono le maniche per caderci addosso.... Io che avevo la mia.....».
Faceva troppo vento; in quel momento i vetri tremarono sotto una raffica terribile e Yann dovette levarsi per andare a vedere la sua barca.
Un altro diceva:
Quando ero nostromo in funzione di caporale di armi