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Di tanto in tanto la nonna Yvonne metteva la testa fuori della porta per guardarli, non perchè fosse inquieta di ciò che potessero fare, ma solamente per affetto, e per il piacere di vederli, qualche volta anche per farli rientrare. Ed allora diceva:
— Fanciulli miei, voi avrete freddo, badate bene che prenderete un malanno. Dio mio, restare al freddo fino a quest’ora; non vi sembra una pazzia?
Freddo!... E avevano freddo essi? E avevano coscienza di qualche altra cosa se non della felicità, di essere vicini l’uno all’altra?
Le persone che passavano la sera, sentivano un leggiero mormorio di due voci, confuso al rumore del mare ai piedi delle scogliere. Era una vocina molto armoniosa: la voce fresca di Gaud si alternava con quella di Yann che aveva delle sonorità dolci e carezzanti nelle sue note gravi. Sul granito del muro a cui erano addossati, si distinguevano le loro figure; prima la cuffia bianca di Gaud, poi tutta la sua forma snella nel vestito nero e, al suo fianco, le spalle robuste di Yann: al disopra di essi la cupola nera del loro tetto di paglia e dietro tutto ciò, gl’infiniti crepuscoli, il vuoto singolare delle acque e del cielo...
Essi finivano per rientrare e sedere presso il camino, e la vecchia Yvonne, addormentata, non annoiava quei due giovani che si amavano tanto. E ricominciavano a parlare a voce bassa. Dovendo rifarsi di quei due anni di silenzio, avevano bisogno di affrettarsi dal momento che la loro felicità doveva durare così poco.
Era stato deciso che abiterebbero con la nonna Yvonne la quale per testamento, avrebbe dato loro la sua capanna; per il momento non vi avrebbero fatto alcun aggiusto, per mancanza di tempo, ma al ritorno dall’Islanda avrebbero abbellito quel povero nido di pescatori così desolato.