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non avesse quel sassato, brulla roccia, che gli sorpiomba quasi a picco, non sarare, davvero, un Treviso rifatto, o lo sarace, solamente in grazia della rima lozzato, estorta, torturando Lozzo.

La strada corre alla valle, avendo sempre di fronte tutto il largo, falcato pianoro di Oltrepiave, un pianoro caratteristico, tutto a prati e a campi coltivati, campi e prati, macchiettati di gruppi di larici dalla tenue ombra, di gruppi di abeti proiettanti sull’erbe le dense, cupe ombre.

Plòs solatio sorride, di contro a mezzogiorno, stendendosi a riposo sul dorso mollemente arcuato del largo poggio, un dorso di poggio coronato di boschi, di abeti e di larici e disegnato, come una scacchiera, di mille campicelli coltivati,

E Lorenzago aprica tra i campi declivi che d’alto
la valle domina.

, s’allunga sui verdi pascoli, sotto i boschi folti tra cui bianca sfavilla Villa Clarenza e tra i gruppi di conifere rigogliose tace Villa Nos-vobis.

Il campanile alto, fendente l’azzurro, protegge il paese disposto lungo la via del Mauria e, quasi, vorrebbe ricordare il gran defunto di S. Marco, forse, in relazione al titolo di Venezia auta (alta) dato dai Cadorini a Lorenzago, per ricordare la nobile città delle lagune.