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segnò il luogo, ove, poche ore avanti, sorgeva. La rovina del 23 eccliss òla memoria di quella del 16 ottobre 1708, che con una rude carezza lasciò il loco di Peraròlo Come un osso nudo, seriza carne, né pelle.

Il Piave, incanalato in una gola stretta e profonda, urla, strepita, romba, spumeggia, ma s’accontenta soltanto di portare sulle sue acque, fino a Peraròlo, il legname, la ricchezza del Cadore.

Peraròlo è l’emporio di tutto il legname cadorino. Le taglie e le travi portate dalle correnti del Piave e del Bòite, tutte convengon qui d’ogni paese. Per questo, opina il Ciani, il paese fu detto anche Porto della laguna, poi, Ponte porto e, ora, Peraròlo, da per il ruolo del legname.

Fin dal tempo dei Romani, l’abete, il pino e il larice del Norico e della Rezia era ricercatissimo per la costruzione delle navi, tanto che a Belluno e a Feltre c’è.

collegi di dendròfori. Venezia attrasse a sè quel commercio e, fino dal 1473, assegnò al Cadore un campo, presso la chiesa di S, Francesco della Vigna, per l’approdo delle zàttere.

La Francia e l’Austria mantennero quel commercio e a Venezia e a Tolone affluiva il legname cadorino, dichiarato da una commissione anglo-francese per uno dei migliori del mondo. Al presente, il commercio continua, ma esso non può sostenere la concorrenza dell’estero più oltre di Ferrara, Verona e Venezia. Da anni ed anni il Cadore domanda al governo la costruzione dì un breve tronco di ferrovia, che lo unisca a Belluno e da anni ed anni il governo promette e non mantiene. Ora che sorgono fortezze e difese militari nelle vallate e sui monti cadorini, giova sperare che le necessità militari unite ai bisogni economici di una regione segregata dalle città, finiranno per accontentare un popolo laborioso, che per l’Italia avendo profuso sangue e sostanze, mal comporta nell’anima fiera l’abbandono larvato di promesse vane. Il