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capitolo v 63

     A quella spera Dio mai non s’asconde;
indi sé mostra e il suo santo abitacolo,
e le ricchezze sue magne e profonde.135
     Perché sopr’essa è quel chiaro spiracolo,
che sé ed ogni cosa agli occhi mostra
sol dove pose Dio suo tabernacolo.
     Questo premio è serbato all’alma nostra
o sciolta dal corpo, né nel mondo cieco140
lo può trovar la mia vita o la vostra.
     Ma al mondo vita tal mal tanto ha seco
che in vita piú felice gli animali
sarien bruti e selvaggi in qualche speco.
     Quanto piú veggon gli occhi de’ mortali145
il ben, si dolgon piú se ne son privi,
e maggior cognizion ne dá piú mali.
     Ed oltre a questo, mentre siam qui vivi,
assai piú cose nostra vita agogna,
che a lor basta l’erbetta e i freschi rivi.150
     Felice è piú a chi manco bisogna;
cosí par l’uomo piú infelice al mondo,
mentre che in vita qui vacilla e sogna.
     Ma il premio è poi nel viver suo secondo,
che il mondo errante «trista morte» appella;155
allor giunge al suo fin lieto e giocondo.
     Cosí la vita nostra non è quella,
ovver la tua, pastor, ch’è piú quieta,
ovver, Lauro, la tua che par sí bella,
     che un punto sol di tanti mai sia lieta,160
o qualunque altra vita ch’è mortale,
perché vera dolcezza il mondo vieta.
     Or perché par che all’Ocean si cale
Febo, e finito è il mio sermon col sole,
Alfeo, statti con Dio; tu, Lauro, vale. — 165
     Cosí lasciò le piagge di lui sole,
e noi, benché al chiar fonte, con piú sete
d’udire ancor l’ornate sue parole;