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capitolo iv 55

     Ma doppio è il contemplar della nostr’alma,
l’angelica natura e la divina;
la prima non ne dá quiete o calma.
     Nostro intelletto, che Natura inclina
ricercar d’ogni cosa la sua causa,65
d’una in altra cagion sempre cammina;
     e mai non ha quiete alcuna o pausa,
fin che d’ogni cagion la causa trova,
ch’è nell’arcan di Dio serrata e clausa.
     La volontá convien sempre si muova,70
né si contenta d’alcun ben giamai,
sopra il qual sia maggior dolcezza nuova.
     Fermasi e posa sol ne’ divin rai,
perché d’intero bene ha sempre inopia,
fin che il supremo ben ritrovato hai.75
     Tutto quiesce nella causa propia;
e questo è Dio: adunque Dio è quello,
non l’Angiol, che ne dá di tal ben copia.
     Benché Avicenna, Ispano ed Alcazello
fermassin nella prima il ben supremo,80
il vero bene è Dio formoso e bello.
     Ma contemplando Dio, due vie avemo,
una per lo intelletto Dio vedere,
onde per questo mezzo il conoscemo;
     l’altra è pel conosciuto ben godere85
per mezzo del disio; onde il felice
e disiato fin poi possedere.
     Plato divino, al mondo una Fenice,
la prima visione «ambrosia» appella,
e il gaudio pel veduto «nettar» dice.90
     Due ale ha la nostr’alma pura e bella,
lo intelletto e ’l disio, ond’ella è ascensa
volando al sommo Dio sopra ogni stella,
     ove si ciba alla divina mensa
d’ambrosia e nettar; né giamai vien meno95
questa somma dolcezza eterna e immensa.