Lo specular cose celesti e belle,
sí come il grande Anassagora volse
contento al ciel mirare e alle stelle,135
non è ben sommo; e tal palma gli tolse
un altro maggior ben che gli sta sopra,
che in sé l’onor de’ piú bassi raccolse.
E come il sol par l’altre stelle cuopra,
cosí questo splendor lucente e chiaro140
ombra l’inferior, ch’è piú degna opra.
Tanto piú degno, quanto egli è piú raro,
contemplar quel che sopra il ciel dimora,
come parve al filosofo preclaro Aristotil, che il mondo tutto onora.145
Ma tal contemplazione ha in sé due parti:
una che l’alma fa col corpo ancora;
l’altra che questa vita non può darti.
Par che Aristotil nella prima metta
il sommo ben, sanz’altro separarti.150
Dice, chi bene sua sentenzia ha letta,
che la felicitá è l’operare
virtú perfetta in vita ancor perfetta.
Ma se in due cose il vero ben dee stare,
l’una la volontá, l’altra l’intendere,155
perfetta o l’una o l’altra non può fare.
Perché la mente non può ben comprendere,
sendo legata in questo corpo e inclusa,
ha disio sempre di piú alto ascendere.
Resta in ansietá, e circunfusa160
da piú ardor per quel ben che le manca,
e dentro allo intelletto piú confusa.
L’intelletto e il disir cosí si stanca:
adunque mai non trova la nostr’alma
la pura veritá formosa e bianca,165
mentre l’aggrava esta terrestre salma. —