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capitolo ii 45

     L’onor che par sí spezioso e bello,
che molti sciocchi il ben fermano in lui,
non è quel vero ben, di ch’io favello.135
     Ben non è quel, ch’è in potestá d’altrui:
riposto è questo tutto in chi t’onora,
che lauda spesso, e non sa che o cui.
     Anzi quanto è la turba, che piú ignora,
che i sapienti, tanto manco è scorto140
colui che laude merta ampla e decora.
     Spesso si lauda o biasma alcuno a torto,
e spesso avvien che sanza sua saputa
si lauda, e tal laudare a lui è morto.
     Questa dunque non è vera e compiuta145
dolcezza, come alcun cieco giá volse,
che in questo error la mente ebbe involuta.
     E chi pel primo fior la grazia tolse,
errò; ed in questa il bene usava porre
chi ’l mondo in pace sotto sé raccolse.150
     Però che quel pericol proprio corre,
questa benivolenzia, che l’onore:
altri la dá, altri la può ancor tôrre.
     Onde veggiam che invan si pone il core
dove sanza ragion Fortuna impera,155
poi che ognuna di queste e manca e muore.
     Questi apparenti ben da mane a sera
ci toglie e dá lei cieca ed importuna,
né saggio alcuno il pensier ferma o spera,
     dove ha potenzia la crudel Fortuna. — 160