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capitolo i 39

     Il verno a’ tempi rigidi e nivali
talora ad ogni pel di nostra vesta
veder puossi cristalli glaciali.135
     Talora un vento sí crudel ne infesta,
che per porsi al povento dopo un masso,
non cessa il vento o la crudel tempesta.
     Le piume sono il terren duro o il sasso;
i cibi quei delle silvestre fere140
per confortarne, quando altri è piú lasso.
     Non manco mi vedresti tu dolere,
se lupo via ne porti un de’ nostri agni,
che quando tu perdessi un grande avere.
     Né piú tu del gran danno tuo ti lagni,145
che io del poco; ché a proporzione
i piccoli a me son come a te i magni.
     In minor cose ha in me dominazione
Fortuna certo; e se quel poco ha a sdegno,
piú duole a me sanza comparazione.150
     S’io perdo un vaso di terra o di legno,
non manco mi dolgo io del vil lavoro,
che se tu ’l perdi d’òr, che par piú degno.
     La differenza, ch’è tra ’l legno e l’oro,
non fa natura, quanto noi facciamo155
per estimar l’un vil, l’altro decoro.
     Però se ’l vaso fittile mio amo
quanto tu l’aureo, egualmente a me nuoce
Fortuna, perché egualmente lo bramo.
     Ma credo appellar possa ad una voce160
Fortuna il mondo rigida e inimica,
perché pende ciascun nella sua croce. —
     — Benché pastor, sentenzia odo ch’è antica,
ciascun mai contentarsi di sua vita,
e par lieta e felice l’altrui dica;165
     i’ mi starò dove il destin m’invita,
tu dove chiama te la stella tua,
ove la sorte sua ciaschedun cita,
     mal contento ciascun, non sol noi dua. —