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CAPITOLO I
[In cui si disputa della felicitá secondo la dottrina di Platone.]
Da piú dolce pensier tirato e scorto,
fuggito avea l’aspra civil tempesta
per ridur l’alma in piú tranquillo porto.
Cosí tradotto il cor da quella a questa
libera vita, placida e sicura,5
ch’è quel poco del ben, che al mondo resta;
e per levar da mia fragil natura
quel peso che a salir l’aggrava e lassa,
lassai il bel cerchio delle patrie mura.
E, pervenuto in parte ombrosa e bassa,10
amena valle che quel monte adombra,
che ’l vecchio nome per etá non lassa;
lá dove un verde lauro facev’ombra,
alla radice quasi del bel monte
m’assisi, e ’l cor d’ogni pensier si sgombra.15
Un fresco, dolce, chiar, nitido fonte
ivi surgea dal mio sinistro fianco
rigando un prato innanzi alla mia fronte.
Quivi era d’ogni fior vermiglio e bianco
l’erbetta verde; ed infra sí bei fiori20
riposai il corpo fastidito e stanco.
Eranvi tanti vari e dolci odori,
quanti non credo la Fenice aduna,
quando sente gli estremi suoi dolori.