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286 xvii - rime varie o di dubbia autenticitá

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     Ché non ti svegli e vienne allo balcone,
Nencia, che non ti possa mai levare?
Tu senti ben che suona lo sveglione,
tu te ne ridi e fammi tribolare.
Tu non sei usa a star tanto in prigione;
tu suoi pur esser pazza del cantare;
e ’n tutto dí non t’ho dato di cozzo,
ch’i’ ti vorrei donar un berlingozzo.

45

     Or chi sarebbe quella sí crudele,
che, avendo un damerino sí d’assai,
non diventasse dolce come un mele?
E tu mi mandi pur traendo guai;
tu sai ch’io ti so tutto sí fedele;
meriterei portar corona e mai:
deh! sii un po’ piacevoletta almeno,
ch’io sono a te come la forca al fieno.

46

     Non è miglior maestra in questo mondo,
che è la Nencia mia di far cappegli:
ella gli fa con que’ bricioli intorno,
che io non veddi giamai i piú begli;
e le vicine gli stanno d’intorno,
il dí di festa vengon per vedergli:
ella fa molti graticci e canestre:
la Nencia mia è ’l fior delle maestre.

47

     Io son di te piú, Nencia, innamorato,
che non è ’l farfallin della lucerna,
e piú ti vo’ cercando in ogni lato,
piú che non fa il moscione alla taverna;
piú tosto ti vorrei avere allato
che mai di notte un’accesa lucerna.
Or, se tu mi vuoi bene, or su fa’ tosto
or che ne viene i castagnacci e ’l mosto.