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iv - la nencia da barberino 283

32

     Andiam piú qua, ché qui n’è molto poca,
dove non tocca il sol nel valloncello;
rispondi tu, ch’i’ ho la voce fioca,
se fussimo chiamati dal castello.
Liévati il vel di capo e meco giuoca,
ch’i’ veggia il tuo bel viso tanto bello,
al qual rispondon tutti gli suoi membri,
sicché a un’angiolella tu m’assembri.

33

     Cara Nenciozza mia, i’ aggio inteso
un caprettin che bela molto forte;
vientene giú, ché ’l lupo sí l’ha preso,
e con gli denti gli ha dato la morte.
Fa’ che tu sia giú nel vallone sceso,
dágli d’un fuso nel cuor per tal sorte,
che tu l’uccida, che si dica scorto:
— La Nencia il lupo col suo fuso ha morto. —

34

     Io ho trovato al bosco una nidiata,
in un certo cespuglio, d’uccellini;
io te gli serbo: e’ sono una brigata,
e mai vedesti i piú bei guascherini.
Doman t’arrecherò una stiacciata;
ma, perché non s’addien questi vicini,
io farò vista, per pigliare scusa,
venir sonando la mia cornamusa.

35

     Nenciozza mia, i’ non ti parre’ gherro,
se di seta io avessi un farsettino,
e con le calze chiuse, s’i’ non erro,
io ti parrei d’un grosso cittadino.
E non mi fo far zazzera col ferro,
perché al barbier non do piú d’un soldino;
ma, se ne viene quest’altra ricolta,
io me la farò far piú d’una volta.