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282 xvii - rime varie o di dubbia autenticitá

28

     Tu se’ piú bella che madonna Lapa,
e se’ piú bianca ch’una madia vecchia;
piacimi piú ch’alle mosche la sapa,
e piú che’ fichi fiori alla forfecchia;
tu se’ piú bella che ’l fior della rapa,
e se’ piú dolce che ’l mel della pecchia;
vorre’ ti dare in una gota un bacio,
ch’è saporita piú che non è il cacio.

29

     Io mi posi a seder lungo la gora,
baciandoti in su quella voltoloni,
ed ivi stetti piú d’una mezz’ora,
tanto che valicorono i castroni.
Che fa’ tu, Nencia, che tu non vien fòra?
Vientene su per questi saliconi,
ch’i’ metta le mie bestie fra le tua,
ché parrem uno, e pur saremo dua.

30

     Nenciozza mia, ch’i’ me ne voglio andare,
e rimenar le mie vitelle a casa;
fatti con Dio, ch’i’ non posso piú stare,
ch’i’ mi sento chiamar da mona Masa;
lascioti il cuor, deh! non me lo tribbiare,
fa’ pur buona misura, e non sia rasa;
fátti con Dio e con la buona sera;
sieti raccomandato il tuo Vallera.

31

     — Nenciozza mia, vuo’ tu un poco fare
meco alla neve per quel salicale?
— Sí volentier, ma non me la sodare
troppo, che tu non mi facessi male. —
Nenciozza mia, deh! non ti dubitare,
che l’amor ch’io ti porto sí è tale,
che, quando avessi mal, Nenciozza mia,
con la mia lingua te lo leveria.