Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/270

264 xvii - rime varie o di dubbia autenticitá

     Tradita m’hai: oh, che mirabil vanto!25
Aiutar me vorrei: non ho difesa,
ch’altre arme non ho che ’l tristo pianto.
     Mancato questo a te, non degna impresa,
ché gabbi tu chi da te vinto resta,
femina incauta e del tuo amore accesa,30
     qual sempre è stata vigilante e presta
nell’amor tuo, ed altri mai non ama,
ché ogni altra impresa è al mio cor molesta?
     Ma forse ch’altra donna a sé ti chiama,
a te piú grata: ahi, misera infelice!35
Ma qual piú arde o qual di me piú t’ama?
     Il tutto non dirò, perché non lice;
ma aría ben fatto il mio costante amore
l’aquile e le colombe insieme amice.
     Ben dovria somigliarti, ingrato core,40
a qualche tigre o a qualche altra fèra,
ma qual fèra è che non conosca amore?
     Nulla sembianza alla mia mente altèra;
ché non hai pur pensier fuggendo via
che la tua fe’ con la mia vita pèra.45
     Ahi, cruda sorte, a me spietata e ria,
ch’altri mi fugge in mia florida etade,
onde da ognun seguíta esser dovria!
     Che mi vale or la forma e la beltade
da te sí spesso, misera, laudata,50
e ’l bel servir con tanta umilitade?
     La piú costante e la peggiore amata
giamai non fu, ma ben tutto perdono,
pur che la data fé mi sia servata.
     Questo ti chieggo per estremo dono:55
non mi lasciar, e, se servendo errai,
nol so, ma certo il cor sempre fu buono.
     Piegonsi i cieli a’ voti, come sai;
deh! vincanti le lacrime che ho sparse,
se grazia un puro amor merita mai,60