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242 xvi - canti carnascialeschi

     Quando l’intriso nelle forme metti
e senti frigger, tieni i ferri stretti,
mena le forme, e scuoti acciò s’assetti,
volgi sozzopra, e fien ben cotti e buoni.
     Il troppo intriso fuori spesso avanza,
esce pe’ fessi, ma questo è usanza:
quando ti par che sien cotti abbastanza,
apri le forme e cavane i cialdoni.
     Nello star troppo scema, non giá cresce:
se son ben unte, da sé quasi n’esce,
e ’l ripiegarlo allor facil riesce
caldo, e in un panno bianco lo riponi.
     Piglia le grattapugie o un pannuccio
ruvido, e netta bene ogni cantuccio;
la forma è quasi una bocca di luccio;
tien ne’ fessi lo intriso che vi poni.
     Esser vuole il cialdone un terzo o piue
grosso, a ragione aver le parti sue:
ed a farli esser voglion almen due,
l’un tenga, l’altro metta; e fansi buoni.
     Se son ben cotti, coloriti e rossi,
son belli, e quanto un vuol mangiarne puossi;
perché, se paion ben vegnenti e grossi,
strignendo e’ son pur piccioli bocconi.
     Donne, terrete voi e noi mettiamo;
se noi mettessin troppo forte o piano,
pigliate voi il romaiuolo in mano:
mettete voi, purché facciam de’ buoni.