Onde ’l mio ser per le risa sgangascia:100
dissemi nell’orecchio: — Questo è Strozzo;
in corpo favellò, non dico in fascia:
quando gli fussi ben il capo mozzo,
parlerebbe quel capo sanza il busto:
ciascuno stracca, ond’io con lui non cozzo.105
E per parlare e’ non li manca il gusto:
ma bene ispesso le parole immolla,
e questo ti confesso, ché gli è giusto.
Guarti, guarti, bel fiume di Terzolla,
che tra ’l bere e ’l parlar, che fa costui,110
secco sarai, come di luglio zolla.
Quel che tu vedi, ch’è allato a lui,
sappi che, come tu, e’ non bee vino,
ma e’ lo tracanna e manda a’ luoghi bui;
per soprannome è detto il Bellondino,115
il Citto e ’l Tornaquinci e ’l vil Zanchina:
e vanno a ritrovar Giovan Giuntino.
Questi son tutti ceci di cucina,
perch’e’ son cotti sempre ad un bollore;
benché dichin d’aver la medicina.120
Vengon spesso tra loro in tal furore,
che v’è gran carestia di chi divida:
poi non è nulla, passato il calore.
Io non mi maraviglio che tu rida: —
diss’egli a me. E poi: — Addio, addio — 125
diceva il parlator che fa lor guida.
Lui parlando partissi: e ’l duca ed io
restammo come sordi in su quel filo;
come color che stanno al loco rio,
lá dove cade il gran fiume del Nilo.130