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xiii - la nencia di barberino | 155 |
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I’ me posi a diacer lungo la gora
a bioscio su quell’erba voltoloni,
e livi stetti piú d’una mezz’ora,
tanto che valicorno e’ tuo’ castroni.
Che fa’ tu entro, che non esci fuora?
Vientene su per questi valiconi,
ch’i’ cacci le mie bestie nelle tua,
e parrem uno, e pur saremo dua.
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Nenciozza mia, i’ vo’ sabato andare
sin a Firenze a vender duo somelle
de schegge, ch’i’ me puosi ier a tagghiare,
mentre ch’i’ ero a pascer le vitelle.
Procura ben quel ch’i’ posso recare,
se tu vuo’ ch’io te comperi cavelle:
o liscio o biacca into ’n un cartoccino
o de squilletti o d’ágora un quattrino.
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Se tu volessi, per portare a collo,
un collarin de que’ bottoncin rossi
con un dondol nel mezzo, recherollo;
ma dimmi se gli vuoi piccini o grossi.
S’i’ me dovessi tragli del midollo
del fusol della gamba o degli altr’ossi,
o s’i’ dovessi vender la gonnella,
i’ te l’arrecherò, Nencia mie bella.
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Che non me chiedi qualche zaccherella?
so che n’aopri di cento ragioni:
o uno ’ntaglio per la tuo’ gonnella,
o uncinegli o magghiette o bottoni,
o vuoi pel camiciotto una scarsella?
o cintol per legarti gli scuffioni,
o vuoi per ammagghiar la gamurrina
de seta una cordella cilestrina?