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vii - capitoli 9

     Cercasi indarno, si disia e geme
quel che l’inesorabil morte fura:
e ’n van quel, ch’esser dee, si fugge e teme:30
     ella sta immota sempre, ferma e dura:
né tu doler ti déi, se a quella ha fatto
quel ch’a ciascun per nostra o sua natura.
     Non fu mai violato alcun suo patto,
né pate eccezion l’antica legge,35
che chiunche nasce, sia cosí disfatto.
     Poi che il Monarca, ch’ogni cosa regge,
per la sua caritá ardente e torrida
non trasse sé, non trarrá alcun di gregge.
     Tu mi dirai: — L’etá sua verde e florida,40
l’indole, e di sé data opinione
la súbita rapina fa piú orrida. —
     Qui vinca il tuo appetito la ragione:
perché conosce piú l’amor divino,
che noi, il tempo della salvazione.45
     S’una morte è questo mortal cammino
all’etá immaculata, pura e netta,
vita è lasciar di vita ogni confino:
     se l’etá brieve, eterna e piú perfetta
fussi, il dolor non saria forse a torto;50
ma chi è quel, che tanto a sé prometta?
     Dunque, se de’ cader qualunche ha orto,
poco è da dir, rispetto al tempo eterno,
del lungo termin della vita al corto:
     anzi chi piú sta al mondo e in suo governo,55
deturpa piú sua candida bianchezza,
giugnendo legne al foco sempiterno.
     Però non ti doler s’è in giovinezza
salita a maggior ben, che par offizio
di chi il suo mal piú che l’altrui ben prezza.60
     Tuo piacer brieve, eterno suo supplizio
era sua vita, che quel giorno ha sciolto
di questa fine e di migliore inizio.