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8 | vii - capitoli |
II
Capitolo fatto a Giovanfrancesco Ventura
per la morte di una sua figliuola.
L’amoroso mio stil, quel dolce canto,
qual, come volle il mio cieco disio,
un tempo lieto fu, or vòlto è in pianto.
Flebile e mesto ha fatto il verso mio
quell’acerbo dolor, quale in me sparse5
disio piú vero, amor piú santo e pio.
Questa fiamma d’amor che nel petto arse,
non patí mie pupille esser digiune
di pianto, o cheto in tal suo danno starse;
ma quando ha viste l’avverse fortune,10
di quelle e del dolor tal parte assunse,
qual mostrassi ogni cosa esser comune:
onde gran doglia il cor offese e punse,
amico, per la tua mal fausta sorte,
perché al proprio dolor il tuo s’aggiunse;15
quando sentí troppo immatura morte
dalla tua cara e tanto amata figlia,
le cui fila fe’ Cloto troppo corte;
se non che accorse alla mia mental ciglia
con la tua passion la tua prudenza,20
ch’al corrente dolor dee por la briglia.
Cercando confortarti a pazienza,
dar quel non ti potea, che in me non era:
tanto avea la tua doglia in me potenza.
Dunque se in te la miglior parte impera,25
leva dal cor quel mal che troppo il preme,
con la comun ragion, benché sia vera.