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vii - capitoli 7

     Però per me, se al mio danno ho corso,
pria che la trista usanza in te piú possa,
che non potrebbe il ragionevol morso;135
     pria che cavi a te stesso quella fossa,
nella qual poco dopo tristo caggia
per mai piú non cavarne se non l’ossa;
     guarda il celeste Sol, che splende e raggia,
guarda che dolce frutto da lui cade,140
che null’altro li piace chi l’assaggia.
     Deh lascia le calcate triste strade,
e volgi gli occhi a cose eterne e belle,
tanto piú belle, quanto son piú rade;
     non di falsa bellezza, come quelle,145
ornate, che t’han dato tanto affanno,
e ’l sentier tolto, che guida alle stelle.
     Le tue operazion vergogna e danno,
queste di qua quiete e gloria eterna
dopo il grieve cammino all’alma fanno.150
     Ben è cieco colui che non discerna,
quanto sia differente leFonte/commento: Edimburgo, 1912 splendore
del sol dal falso lume di lucerna.
     Dir piú non mi permette il mio ardore.
Sol ti soggiungo questo per espresso,155
che, s’alcun ben disia, o cerca il core,
     non lasci sé giamai sanza se stesso.