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106 | xi - la rappresentazione di san giovanni e paolo |
Giuliano, nuovo imperadore.
Quand’io penso chi stato è in questa sede,
non so s’io mi rallegri o s’io mi doglia
d’esser di Giulio e d’Augusto erede;
né so se imperadore esser mi voglia.
Allor, dove quest’aquila si vede,
tremava il mondo, come al vento foglia:
ora in quel poco imperio che ci resta
ogni vil terra vuol rizzar la cresta.
Da quella parte lá, donde il sol muove,
infin dove poi stracco si ripone,
eron temute le romane pruove:
or siam del mondo una derisione.
Poiché fûr tolti i sacrifizi a Giove,
a Marte, a Febo, a Minerva, a Giunone,
e tolto è ’l simulacro alla Vittoria,
non ebbe questo imperio alcuna gloria.
E però son fermamente disposto,
ammonito da questi certi esempli,
che ’l simulacro alla Vittoria posto
sia al suo luogo, e tutti aperti i templi;
e ad ogni cristian sia tolta tosto
la roba, acciò che libero contempli;
ché Cristo disse a chi vuol la sua fede:
«Renunzi a ogni cosa ch’e’ possiede».
Questo si truova ne’ Vangeli scritto:
io fui cristiano, allor lo intesi appunto.
E però fate far pubblico editto:
«Chi è cristian, roba non abbi punto
— né di questo debb’esser molto afflitto
chi veramente con Cristo è congiunto: —
la roba di colui che a Cristo creda
sia di chi se la truova giusta preda».