Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/11


vii - capitoli 5

     Da poppa assai piú furiosa viene
con grande impeto e forza la paura,
che in gran travaglio il miser legno tiene.
     Da costa il ben, che al mondo poco dura,
vana letizia, che percuote forte65
la barca, e falla in mar poco sicura.
     Dall’altra costa in simigliante sorte
è il presente dolor, che molto strigne:
questo fa nostra vita parer morte.
     Or l’un, or l’altro d’esti venti pigne70
il tristo legno in sí crudel procella,
or tutti insieme, or di lor parte il cigne.
     Questi la vista della fida stella
tolgono al buon nocchier: di tanta nube
ricuopron l’aria, ch’era chiara e bella.75
     Onde convien che doloroso cube,
lasciando il legno in discrezion dell’onda:
che par ch’ognor se lo inghiottisca e rube.
     E se grazia divina non v’abbonda,
che ’l buon nocchier risurga attrito e morto,80
parmi che ’l mar giá lo ricuopra e asconda.
     Veggolo in van chiamar, o sperar porto,
e in van pentirsi quei, che cagion funno
di prendere il cammin mortale e torto.
     Perché il giusto voler del gran Nettunno85
raro si piega a’ prieghi di colui,
ch’è d’ignoranzia e di malizia alunno.
     Deh prendi esemplo per lo danno altrui,
o ver pel tuo: perché, giá in simil briga,
puoi veramente dir: — Ancora io fui. — 90
     Sei ancora, e sarai, insin che striga
il tuo veloce curro quel che siede,
ove seder dovrebbe fido auriga.
     Il disio nostro, se piú ha, piú chiede,
e come non ha fin, non ha quiete.95
Non si può ben posar, chi mai non siede: