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100 | xi - la rappresentazione di san giovanni e paolo |
ché brieve e traditora è questa vita,
né altro al fin che fatica e dispetto:
metti ad effetto i pensier santi e magni,
ché arai ben presto teco altri compagni.
Gallicano si parte, e di lui non si fa piú menzione.
Costantino lascia lo imperio a’ figliuoli, e dice:
O Costantino, o Costanzio, o Costante,
o figliuoi miei, del mio gran regno eredi,
voi vedete le membra mie tremante
e ’l capo bianco e non ben fermi i piedi:
questa etá, dopo mie fatiche tante,
vuol che qualche riposo io li concedi;
né puote un vecchio bene, a dire il vero,
reggere alle fatiche d’un impero.
Però, s’io stessi in questa regal sede,
saria disagio a me, al popol danno;
l’etá riposo, e ’l popol signor chiede:
di me medesmo troppo non m’inganno.
E chi sará di voi del regno erede,
sappi che ’l regno altro non è che affanno,
fatica assai di corpo e di pensiero;
né, come par di fuor, dolce è l’impero.
Sappiate che chi vuole il popol reggere,
debbe pensare al bene universale;
e chi vuol altri dagli error correggere,
sforzisi prima lui di non far male:
però conviensi giusta vita eleggere,
perché lo esemplo al popol molto vale,
e quel che fa il signor, fanno poi molti,
ché nel signor son tutti gli occhi vòlti.
Non pensi a util proprio o a piacere,
ma al bene universale di ciascuno:
bisogna sempre gli occhi aperti avere;