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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 77

quello lieto giorno, facevono nascere in me maggiore desiderio di vedere gli occhi suoi ed investigare la via per la quale si fusse partita; ed, essendomi incognita, nessuno migliore argumento occorreva a trovarla che guardare la terra e l’aere. Perché dove avevono tócco li piedi suoi era fiorita la terra; tanta virtú e grazia da quelli piedi aveva ricevuta quell’aria, per la quale il viso e gli occhi suoi erono penetrati, e l’andare suo aveva diviso e partito: ed, essendo assai piú chiara ed illustre che l’altra, faceva in quella regione segno del passare di madonna; come la via lattea in cielo, la quale, mostrandosi per abbondanza di splendore che viene da moltitudine di stelle piú spesse e serrate insieme, assai similitudine aveva colla via della donna mia, illustrata dallo splendore delli suoi occhi. Era adunque assai noto il cammino, onde e con madonna e con Amore insieme s’era da me dilungata e fuggita l’anima mia. Ma il destino mio e avversa sorte non sopportava che io potessi, come aveva fatto l’anima, seguitare quel bello cammino, che non poteva essere se non bellissimo, per essere ornato di fiori novelli ed illustrato dallo splendore di quelli belli occhi. Questi affetti amorosi vorrei fussino espressi nel presente sonetto, il quale parla sempre alla fuggitiva anima mia, e conviene presupporre che fussi composto e recitato nel proprio loco dove furono questi amoros accidenti.

     Datemi pace omai, sospiri ardenti,
o pensier sempre nel bel viso fissi,
ché qualche sonno placido venissi
alle roranti mie luci dolenti.
     Or li uomini e le fere hanno le urgenti
fatiche e dur pensier queti e remissi,
e giá i bianchi cavalli al giogo ha missi
la scorta de’ febei raggi orienti.
     Deh! facciam triegua, Amor, ch’io ti prometto
ne’ sonni sol veder quell’amoroso
viso, udir le parole ch’ella dice,
     toccar la bianca man che ’l cor m’ha stretto.
O Amor, del mio ben troppo invidioso,
lassami almen dormendo esser felice.