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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
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suo, ma piú presto per desiderio di poter conseguire il medesimo bene; e, chiamandolo «cuor beato», mostra assai manifesto la cagione della invidia, la quale si è, come abbiamo detto in questo luogo, desiderio del medesimo bene. L’invidia necessariamente è maggiore e piú manifesta, quanto è maggiore il bene che si vede in altri; e nessuno è maggior bene che l’essere beato, e quella cosa è veramente beata che è gentile; e però, dicendo «cuor beato», giá si presuppone la gentilezza. Narra di poi il modo che tenne quella mano a riducere il mio cuore dalla durezza e viltá sua naturale alla perfezione della gentilezza, cioè mulcendolo e stringendolo, che si può interpetrare quella mano usasse qualche volta seco cose piacevoli e dolce, qualche volta aspre e forti; perché, avendo a combattere con due inimiche, cioè durezza e viltá, bisogna opporre due virtú contrarie, cioè forza contro alla durezza, e dolcezza contro alla viltá. Perché chi pensa bene che cose ostano a qualunche vuole andare alla perfezione, troverrá essere solamente due. Prima una naturale inerzia e contraria disposizione alla beatitudine che si cerca; e questo nasce e per difetto di complessioni e d’organi del corpo, e per le naturali concupiscenzie ed inclinazioni a molti errori, con ciò sia cosa che la via della perfezione sempre fu laboriosa e difficile, e però queste cose contrarie sono spesso di tale impedimento, che non lasciano, non che altro, qualche volta conoscere la beatitudine: e questo si può chiamare «durezza». L’altro ostaculo è che, ancora che qualche volta questa beatitudine in confuso si conosca e conoscendosi si desideri, gli uomini hanno una naturale viltá e diffidenzia, per la quale spesso si disperono di conseguirla, né, tentando la via per andarvi, possono giammai adiungervi. Bisogna adunque contro a quella prima durezza la forza, contro alla viltá la mollificazione e dolcezza, usando or l’una e or l’altra, secondo che si truovono potenti gl’inimici, perché l’una rompe la durezza, l’altra contro alla viltá dá speranza. Questi due effetti mostra il presente sonetto dicendo «or mulce, or stringe», ché con queste due cose trae del cuore ogni durezza e viltá, le quali remosse, si fa gentile, cioè diventa subito atto a ricevere ogni degna forma e gentile impressione. Séguita di