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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
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degli altri; ed avendo a fare fede al cuor mio della pietá e disposizione del cuor suo, lo fece per quel mezzo a cui era piú naturale e che meritava piú fede, come piú vicino al cuore. Oltre a questo lo indorare le saette, tirare l’arco d’Amore e medicare le piaghe amorose è offizio della mano sinistra; perché, se bene le bellezze legano molto, il cuore della cosa amata strigne molto piú, e cosí molto meglio medica. E tutte queste opere manuali, che hanno a essere a significazione del cuore, molto meglio convengono alla mano sinistra per la propinquitá giá detta. E però è piú tosto errore quello che comunemente usano gli uomini, che la elezione in questa parte della donna mia.
Quanta invidia ti porto, o cor beato,
che quella man vezzosa or mulce or stringe,
tal ch’ogni vil durezza da te spinge;
e poi che sí gentil sei diventato,
talora il nome a cui t’ha consecrato
Amore il bianco dito in te dipinge,
or l’angelico viso informa e finge
or lieto or dolcemente perturbato.
Or li amorosi e vaghi suoi pensieri
ad uno ad un la bella man descrive,
or le dolci parole accorte e sante.
O mio bel core, oramai piú che speri?
Sol ch’abbin forza quelle luci dive
di trasformarti in rigido adamante.
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Abbiamo disopra concluso e piú volte difinito «gentile» potersi chiamare quella cosa, che, secondo la umana perfezione, fa perfettamente e con grazia l’offizio a che è ordinata. Ed essendo giunto a questa perfezione il cuor mio per mezzo di quella mano bellissima, il presente sonetto fa menzione del modo come fu fatto gentile, ed ancora di alcuni effetti di beatitudine e dolcezza, che per questo sente il cuore; perché questa tale menzione e memoria non altrimenti è grata al cuore, che i navicanti raccontare qualche loro pericolosa fortuna, poi che hanno conseguito la sicurtá del porto. Parla adunque il presente sonetto al cuor mio, mostrando portarli invidia, non perché gli dispiaccia il bene
Lorenzo il Magnifico, Opere - i. |
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