Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
62 | ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
Candida e bella man, tu sani poi |
Come nel precedente sonetto abbiamo detto, la natura e lo amore dánno ogni perfezione ed ornamento. Questo medesimo conferma il sonetto presente, il quale parla pure a quella mano gentilissima, e la chiama «suavissima e decora»: decora per li ornamenti e bellezze naturali, suavissima per lo amore e desiderio d’essa, perché, se non fussi questo amore e desiderio, non potrebbe essere suave, ancora che bellissima. Oltre a queste due proprietá, è da notare che io la chiamo «mia». E perché questo pare una arroganzia, perché di sí bella e gentile cosa non ero degno, replico questo vocabulo «mia» immediate nel secondo verso, e giustifico se cosí la chiamo, mostrando esserne cagione Amore, il quale me la dette per pegno della promessa pietá della donna mia. È comune ed antiqua consuetudine tra gli uomini in ogni patto e transazione, per piú efficace segno del cuore e voluntá nostra, toccare colla mano destra propria la destra di colui con chi si fa il patto, e comunemente s’usa quando si perviene a pace dopo qualche guerra ed ingiuria seguíta. Similmente, quando in tali o in altri casi si piglia giuramento alcuno, la destra mano è lo instrumento e ministra. Credo questa tale consuetudine sia suta introdotta dalla cagione che diremo appresso. Qualunque pace o simile patto e fede data, che fussi interrotta o non osservata, bisogna che sia cosí rotta da qualche nuova ingiuria, della quale il piú delle volte suole essere principio e ministra la mano destra, che è quella che percuote, e nella maggior parte degli uomini è piú espedita e pronta alla offesa. E però, usandosi la destra nelle convenzioni sopra dette, come testimonio e confermazione di quello che è fatto, pare che si obblighi quella cosa, la quale prima e piú facilmente può violare il patto. Dettemi adunque Amore questo pegno delle promesse sue quel giorno che ebbi a sdegno la