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56 ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti

cioè non per alcuno merito suo, ma per liberalitá e grazia della donna mia assunto a questo grado di gentilezza, giá si stimava tanto, ed in tale perfezione gli pareva esser venuto, che non estimava alcuna cosa vile e mortale. E perché non paia questo contradica a quello abbiamo detto, che sanza qualche merito non possa alcuna cosa ricevere da quelli occhi il grado di questa gentilezza, avendo io detto che il mio cuore sanza merito a questo fu eletto, dico, confermando la sentenzia sopradetta, che possiamo chiamare uno «gentile» o in atto o in potenza, cioè veramente gentile e con tutte le parti che vengono da gentilezza o atto a poter essere gentile; come diremo d’un fabbro, il quale, avendo il ferro sanza alcuna certa forma, si può dire abbi in mano una spada, una zappa, o quell’istrumento il quale è sua intenzione di comporre di quel ferro. Era il mio cuore prima questo ferro rozzo, ma atto a essere quello che volevano quelli occhi. E perché in loro potenzia era o lasciarlo cosí rozzo o farne una o un’altra cosa, per elezione del fabbro fu fatto gentile: e, quanto alla elezione, sanza merito; quanto all’essere disposto e atto ad essere gentile, non sanza qualche merito; e cosí si assolve questa parte. Io, veggendo il mio core tanto gentile, cominciai ad amarlo piú e desiderare che tornassi a me. E, per muoverlo a questo, purgai la mente ed il petto mio di ogni cosa vile e vulgare per mezzo pure di quelli occhi, la perfezione de’ quali, portata in me dagli occhi miei, si restò nella immaginazione; né sarebbe restata quella gentilissima forma in mezzo di tutti i miei pensieri, se i miei pensieri fussino suti vili e vulgari. E però, come di natura fa il bene, prima spogliò il petto mio d’ogni male; e, nonostante questa purgazione, non voleva tornare il cuore mio a me, né desiderava altra bellezza che quella di quelli occhi ove lui era. E cosí di necessitá bisogna fussi, sendo quelli occhi bellissimi e il cuore giá fatto gentile, come meglio faremo intendere nella esposizione di quel sonetto che comincia:

Candida, bella e delicata mano.

Pare solamente al presente necessario, perché spesse volte nelli nostri versi si truova questo vocabulo di «gentilezza» e