Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
52 | ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
che Amore mandava dal cuore, non gli conosceva per amorosi, ma, credendo procedessino dalla mia mala sorte e persecuzione predetta, gli comportava, non credendo mi portassino dolcezza, ma che si arrogessi tanto piú al mio male e che la pena mia fussi tanto maggiore. Ed io, accorgendomi dell’inganno della fortuna, per ingannarla tanto meglio, qualche volta, come Amore voleva, piangevo e mi lamentavo, e tanto manco poteva intendere la fortuna la dolcezza e de’ sospiri e de’ pianti miei. Con quest’arte adunque, per virtú di quelli belli occhi e d’Amore, qualche volta sentivo qualche refriggerio e dolcezza, la quale non arei sentita, se la fortuna se ne fussi accorta.
Se ’l fortunato cor, quand’è piú presso |
Io vorrei avere o tal forza di parole o tanta fede appresso degli uomini, che potessi bene esprimere e far credere la eccellenzia della donna mia; perché a lei sarebbe onore, ed io fuggirei qualche pericolo d’essere stimato poco veritiero. Ma, non potendo né esprimere né mostrare gli occhi e le bellezze sue, perché, secondo il comune uso, forse quello che è virtú ad incarico sarebbe attribuito, almanco mi sforzerò in qualche parte mostrare la gentilezza dell’ingegno suo, narrando alcuno delli suoi motti, e questi, al mio parere, molto piú alti e sottili che a donna non si conviene. E perché dinanzi abbiamo detto che le parole e quesiti suoi qualche volta hanno dato argumento a’ nostri versi,