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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 47

parte di merito non si muove per gli occhi suoi la bellezza del corpo dagli occhi miei amata. Per le parole sue che vincono l’armonia celeste si tocca la terza bellezza della voce e dell’armonia, alla quale solo gli orecchi miei stavono intenti. Perché queste tre bellezze erano in questa gentilissima, bellissima e dolcissima donna, la quale era a me cara sopra ogni cosa.

     Occhi, io sospiro come vuole Amore,
e voi avete per mio mal diletto.
Sempre ardo, né giammai giugne all’effetto
qual piú desia l’inveterato ardore.
     Ma voi sentite ben pel mio dolore,
perché mirate il piú gentil obbietto
che aver possiate: al vostro ben perfetto
vi conduce la doglia di me, cuore.
     Se pur piangete, io son quel che distillo
alquanto del mio mal per la via vostra,
né il ben vi toglie il cor, quando si duole.
     Pregate meco Amor che sia tranquillo,
qual se benigno il chiaro obietto mostra,
quanto sará piú bello il vostro sole!

Se gli è vera quella difinizione d’amore che nel proemio abbiamo detto, molto bene ancora si verifica il proposito ed intenzione del presente sonetto, la quale è di provare per evidente ragioni che il cuore acceso d’amore giammai ha pace; e gli occhi dell’innamorato tanto sono piú felici, quanto il cuore ha maggiore tormento. La difinizione che abbiamo detta d’amore è che amore sia desiderio di bellezza; e, se questo è, molto veramente si può dire amore non possedere quella bellezza che desidera, perché, se la possedessi, il desiderio d’essa sarebbe invano, perché non si può disiderare quello di che altri ha copia. E però diremo altra cosa essere amore, altra cosa essere il fine che lo muove, perché l’amore desidera ed è mosso da un fine che si chiama «felicitá» e «beatitudine», la quale consiste nel congiugnersi con quella bellezza che l’amore appetisce e con essa inseparabilmente stare. Ed insino a tanto che a questo fine di beatitudine non si perviene, amore non solamente non è bene, anzi è pena