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30 ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti

     Poi quando di novella fiamma accende
l’erbe, le piante e’ fior Febo a noi vòlto,
l’altro orizzonte allor ringrazio molto
e la benigna aurora che gliel tolse.
     Ma lasso! io non so giá qual nuova aurora
renda al mondo il suo sole: ah, dura sorte,
che noi vestir d’eterna notte volse!
     O Clizia, indarno speri vederl’ora:
tien’ gli occhi fissi infin li chiuda morte
all’orizzonte estremo che tel tolse.


È comunemente natura degli amanti e pasto dell’amorosa fame pensieri tristi e maninconia, pieni di lacrime e sospiri; e questo comunemente è nella maggiore allegrezza e dolcezza loro. Credo ne sia cagione che l’amore, che è solo e diuturno, procede da forte imaginazione, e questo può male essere, se l’umore maninconico nello amante non predomina, la natura del quale è sempre aver sospetto, e convertire ogni evento o prospero o avverso in dolore e passione. Se questa è propria natura degli amanti, certamente il dolore loro è maggiore che quello degli altri uomini, quando a questa proprietá naturale si aggiugne accidente per sé doloroso e lacrimoso; e nessuna cosa può accadere allo amante degna di piú dolore e lacrime che la perpetua privazione della cosa amata. Di qui si può presumere quanto dolore dessi la morte di colei a quelli che sommamente l’amavono, che ragionevolmente fu maggiore che possi provare un uomo. È natura de’ malenconici, come abbiamo detto essere gli amanti, nel dolore non cercare altro remedio che accumulazione di dolore, ed avere in odio e fuggire ogni generazione di refrigerio e consolazione; e però, se qualche volta per remedio di questo acerbissimo dolore si poneva innanzi degli occhi la morte, in quanto era fine di questa dolorosa passione, era odiata da me, e tanto piú doveva essere odiata, quanto la morte per essere stata negli occhi di colei si poteva stimare piú dolce e piú gentile, perché, essendosi comunicata a una cosa gentilissima, di necessitá partecipava di quella qualitá che tanto copiosa aveva trovato in lei.