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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 27

certo, essendo ornata della bellezza di colei, non è presuntuosa volendo vincere di splendore l’altre stelle, ma ancora potrebbe contendere con Febo e domandargli il suo carro, per essere lei autrice del giorno. E, se questo è, che sanza presunzione questa stella possi fare questo, grandissima presunzione è suta quella della morte, avendo manomessa tanta eccellentissima bellezza e virtú. — Parendomi questi ragionamenti assai buona materia a un sonetto, mi parti’ da quell’amico mio, e composi il presente sonetto, nel quale parlo alla sopradetta stella:

     O chiara stella, che co’ raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai piú che ’l tuo costume?
perché con Febo ancor contender vuoi?
     Forse i begli occhi, quali ha tolti a noi
Morte crudel, ch’omai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del lor lume,
il suo bel carro a Febo chieder puoi.
     O questa o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
chiamata esaudi, o nume, i voti nostri:
     leva dello splendor tuo tanto via,
che agli occhi, c’han d’eterno pianto zelo,
sanz’altra offension lieta ti mostri.

Morí questa eccellentissima donna del mese d’aprile, nel quale tempo la terra si suole vestire di diversi fiori molto vaghi agli occhi e di grande recreazione all’animo. Mosso io a questo piacere, per certi miei amenissimi prati solo e pensoso passeggiavo, e, tutto occupato nel pensiero e memoria di colei, pareva che tutte le cose reducessi a suo proposito. E però, guardando tra fiore e fiore, vidi tra gli altri quel picciol fiore che vulgarmente chiamiamo «tornalsole» e da’ latini detto «clitia», nel quale fiore, secondo Ovidio, si trasformò una ninfa, Clizia chiamata, la quale amò con tanta veemenzia ed ardore il Sole, che cosí conversa in fiore sempre si rivolge al sole, e tanto, quanto può, questo suo amante vagheggia. Rimirando io adunque questo amoroso fiore pallido, com’è natura degli amanti, e perché