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24 | ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
mettendo per principio quello che in tutte le cose umane suole essere ultimo fine; perché li primi quattro sonetti furono da me composti per la morte di una, che non solo estorse questi sonetti da me, ma le lacrime universalmente dagli occhi di tutti gli uomini e donne, che di lei ebbono alcuna notizia: e però, non ostante che paia cosa molto assurda, cominciando io dalla morte, a me pare principio molto conveniente per le ragioni che diremo appresso.
È sentenzia de’ buoni filosofi la corruzione d’una cosa essere creazione d’un’altra, e il termine e fine d’un male esser grado e principio d’un altro; e questo di necessitá avviene, perché, essendo la forma e spezie, secondo i filosofi, immortale, di necessitá si conviene sempre si muova dalla materia, e di questo perpetuo moto necessariamente nasce una continua generazione di cose nuove, le quali essendo sanza intermissione di tempo alcuno e con una brevissima presenzia dell’essere delle cose e dello stato d’esso in quella tale qualitá o forma, bisogna confessare il fine d’una cosa essere principio d’un’altra. E, secondo Aristotile, la privazione è principio delle cose create, e per questo si conclude nelle cose umane fine e principio essere una medesima cosa: non dico giá fine e principio d’una cosa medesima, ma quello, che è fine d’una cosa, immediate è principio d’un’altra. E, se questo è, molto convenientemente la morte è principio a questa nostra opera; e tanto piú perché chi esamina piú sottilmente, troverrá il principio dell’amorosa vita proceder dalla morte, perché chi vive ad amore, muore prima all’altre cose. E, se lo amore ha in sé quella perfezione che giá abbiamo detto, è impossibile venire a tale perfezione se prima non si muore, quanto alle cose piú imperfette. Questa medesima sentenzia pare che abbino seguíto Omero, Virgilio e Dante, delli quali Omero manda Ulisse appresso agl’inferi, Virgilio Enea, Dante se medesimo per lustrare lo inferno, per mostrare che alla perfezione si va per queste vie. Ma è necessario dopo la cognizione delle cose imperfette, quanto a quelle, morire; perché, poi che Enea è giunto a’ campi elisii e Dante condotto in paradiso, mai piú si