Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/293


selva seconda 287

136

     Giá alcun de’ piú solleciti augelli
chiamono il sol con certi dolci versi,
e impongon la canzona; e segue quelli
il coro poi di mille augei diversi.
I fior, che sanza sol si fan men belli,
non posson piú nella boccia tenersi:
pria d’un color e poi dal sol dipinti
si fan di mille, da niun’arte vinti.

137

     Cacciata fugge dinanzi l’aurora:
l’aer giá spoglia la cangiante vesta,
e vestesi di luce che l’indora;
di negro quel che sanza Febo resta.
Ecco il mio sol che vien del monte fòra,
e lascia quella parte ombrosa e mesta:
veggio la luce, e sento giá il calore,
la luce e bellezza e ’l caldo amore.

138

     Questa luce conforta e non offende
gli occhi, ma leva loro ogni disio
di veder altro: e ’l foco non incende,
ma scalda d’un calor suave e pio.
Madonna questi dua per la man prende:
dalla sinistra mena il cieco iddio,
e la bellezza dalla destra tiene;
e lei piú bella in mezzo a questi viene.

139

     Amor, che mira i dua begli occhi fiso,
raddoppia il foco onde se stesso incende:
la Beltá, che si specchia nel bel viso,
piú bella e piú sé a se stessa rende.
Madonna move in quello un suave riso,
dal quale ogni bellezza il mondo prende:
questa sola bellezza lo innamora;
in varie cose il bel principio ignora.