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270 | iv - selve d’amore |
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Par molto bella e grande dalla lunga;
con l’ombra quasi tutto il mondo piglia:
s’avvien ch’appresso disioso giunga,
a poco a poco manca e s’assottiglia:
e, come suol quando par Borea punga,
vedi sparir il nugol dalle ciglia;
cosí non è dove trovar la credi,
ma sempre innanzi agli occhi te la vedi.
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Sí come un can che la bramosa bocca
crede bagnar nel sangue d’una fèra,
che fugge innanzi, e giá quasi la tocca,
pur non la giugne e pur giugnerla spera:
cosí la voglia disiosa e sciocca
non sazia, e digiun resta come s’era;
lei piú veloce innanzi a lui si fugge,
lui pien di rabbia e di disio si strugge:
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O come, se la schiena scalda il sole,
chi vuol giunger quell’ombra c’ha dinanzi,
s’almen co’ passi pareggiar la vuole,
convien di spazio egual pur l’ombra avanzi:
se corre come cervio correr suole,
gli resta drieto alfin quanto era dianzi;
or par la prema, or par l’avanzi un pezzo;
alfin del corso poi pur resta il sezzo.
71
Giugner non posson le volubil rote
bue o caval, ch’innanzi il carro tira;
cosí costei giamai toccar si puote:
la vana fronte occhio mortal non mira.
Un occhio ha in testa, e cose alte e remote
innanzi guata, e indrieto mai nol gira.
Minerva sol con l’egida giá vide
la fronte, e di noi miseri si ride.