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268 | iv - selve d’amore |
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— Quivi, — gli dissi, — omai contento giaci:
sia lieto il cor, poi c’ha quel che desia. —
O parolette, o dolci amplessi, o baci!
O sospirar che d’ambo i petti uscía!
O mobil tempo, o brievi ore fugaci,
che tanto ben ve ne portasti via!
Quivi lasciommi piena di disio,
quando giá presso al giorno disse: — Addio. —
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Era giá, lassa a me! vicino il giorno,
quasi era Febo all’orizzonte giunto,
che la dolcezza di quel bel soggiorno
facea parer che fussi un brieve punto.
Lui disse: — O vivo o morto a te ritorno. —
Cosí partissi, e da me fu disiunto.
Scorgendo questa mano il cammin cieco,
strinse e baciolla, e ’l cor mio portò seco.
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Drieto, quanto io potei, da questo loco
li tenni gli occhi lacrimosi e ’l vólto:
soletto andava acceso in dolce foco
co’ passi avversi e ’l viso ver’ me vòlto.
La notte ombrosa fece durar poco
quest’ultima dolcezza, e mi fu tolto.
Agli occhi piú virtú non è concessa:
ma restò drento al cor la forma impressa. —
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Questo dice Madonna; e chi gli è presso
nol sente; ed io, che son sí lontan, l’odo.
Questa memoria nel pensiero ha messo
quel primo tempo che strinse il bel nodo,
e mi ribella tanto da me stesso
ch’io veggo quasi quel bel tempo e ’l modo
come allor mi legò la bianca mano;
ma poco dura il brieve piacer vano.