Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
selva seconda | 265 |
48
O venenoso mostro al ciel dispetto,
o vivo fonte d’ogni uman tormento;
d’amor mortal nimico e di diletto,
di speranza, di fe’, d’ogni contento:
tu incendi di furore il tristo petto.
Rompi, o Giove, lo ingiusto giuramento,
rimetti la infelice al foco eterno:
ma non l’accetterá forse lo inferno.
49
Gli uomin, gli dèi pregano a giunte mani
che la estermini al tutto e che la spenga;
de’ lamenti del ciel, de’ pianti umani
nel generoso petto pietá venga.
Deh, tanti e giusti prieghi non sien vani!
E ’l giuramento piú non si mantenga,
fatto a danno comun, come chiar veggio:
error fu farlo, e mantenerlo è peggio.
50
Come giá giustamente persuaso
sciogliesti di Iapeto il saggio figlio,
legato eternalmente in Caucáso,
per render qualche merto al buon consiglio:
perché fai ora, o sommo padre, caso
rimetter questa trista al primo esiglio?
Al primo esiglio, e non son cose nòve:
puoi tutto; e giusto è quel che piace a Giove.
51
Come un’antica quercia in alto posta,
quando è percossa dal furor de’ venti,
or assalita d’una, or d’altra costa,
cascon le foglie, e’ sua rami pendenti
si piegan sí ch’a terra alcun s’accosta;
sta fermo il tronco e par che non paventi,
poco prezzando d’Eolo la guerra,
tenendo ferme le radice in terra;